GOYA: UN ARTISTA CHE SAPEVA VEDERE!

di Francesco Raimondi

Anni fa, durante le lezioni di Iconografia e Iconologia all’Università tenute dal Prof. Bellini, rimasi molto colpito da un artista e dalla sua capacità – anche a distanza di secoli – di saper interrogare noi piccoli e semplici uomini. Questo artista, di nome Francisco Goya (ma come lui tanti altri), non ha fatto altro che far nascere in me una domanda: sono utili le opere d’arte? Una domanda che, a distanza di anni, continua a risuonare nella mia testa. E le risposte che provo a dare sono sempre molte, spesso anche contraddittorie. Resta il fatto che quel corso universitario, quel Professore e la spiegazione sul lavoro dell’artista spagnolo cambiarono per sempre il mio modo di approcciarmi agli artisti, sia quelli del passato che i contemporanei.

Francisco Goya (1746-1828), pittore ed incisore spagnolo, fu sicuramente un artista che non ebbe paura di utilizzare l’arte come strumento. Goya è senza dubbio uno dei massimi esponenti della pittura iberica, ma di grande significato sono anche le sue produzioni grafiche. Come solo i veri artisti riescono a fare, anche Goya riesce a vedere – e perciò a mostrare – realtà e soprattutto verità che altri non riescono a cogliere. Egli è riuscito ad indagare, nelle sue incisioni, le piaghe più oscure della sua società, le quali per molti aspetti sono simili alle nostre. Ecco dunque l’esempio dell’opera di un artista capace di comunicare – attraverso forme significanti – anche al nostro secolo. La sua attività di incisore inizia intorno al 1776. È però nel 1798 che dà alle stampe e diffonde la serie di ottanta incisioni conosciute col nome de I Capricci. Prevalentemente acqueforti, I Capricci trattano tematiche riguardanti la prostituzione, la superstizione, l’abuso di potere e la stupidità della classe nobile, il clero, la fortuna, i medici, i metodi d’insegnamento scolastico e i ciarlatani.

Alla base di ogni singola incisione de I Capricci è riportato il titolo, il quale è uno strumento utile per poter comprendere il significato dell’opera.

Oltre a I Capricci e altre incisioni, Francisco esegue anche la serie di incisioni intitolata I Disastri della Guerra. Ottantatre lavori realizzati tutti tra il 1810 e il 1820. Si tratta di opere “monotematiche”, aventi come soggetti la guerra e tutti i propri atroci orrori.

Queste opere grafiche non sono solo “belle” perché conducono l’osservatore ad un’estasi emozionale, dovuto alla maestria stilistica e tecnica dell’artefice; sono soprattutto lavori utili, poiché ciò che emerge è la loro capacità di comunicare significati.

Prendiamo come esempio tre incisioni, a cui sono particolarmente affezionato: due tratte dalla serie de I Capricci ed una da I Disastri della Guerra.

Nessuno si conosce (Capriccio n.6)

In primo piano si vede una fanciulla in maschera che riceve delle attenzioni da un giovane (vestito in maniera ambigua: infatti non si comprende se sia un uomo o una donna), anch’esso mascherato. Tutt’intorno, travestiti e indossanti maschere e camuffamenti, altri tre personaggi. Con questa incisione Goya rappresenta l’uomo nel mondo: tutti si mascherano. Il genere umano vive dietro una maschera. Ci si maschera per convenzione, ossia per restare all’interno di schemi sociali prestabiliti oppure in maniera fraudolenta, con lo scopo di ingannare l’altro. Ad esempio, il giovane che si inchina e si presenta alla fanciulla è mascherato con l’intenzione di ingannare: non si capisce chi sia in realtà. È un uomo – come sembra – o è una donna? Insomma, tutto il mondo è probabilmente una maschera, e come tale una finzione perché ciascuno vuol sembrare quel che non è. Viene sollecitata la nostra coscienza a porsi una domanda: noi, nella nostra vita, indossiamo maschere? Credo che la risposta possa essere affermativa: nessun essere umano è esente dal possedere maschere! Purtroppo.

Che gran parlatore / Que pico de Oro (Capriccio n.53)

Questo Capriccio è estremamente attuale. Goya mostra qui un’immagine che dovrebbe suscitare uno shock ed indurre gli individui a svegliarsi. Un pappagallo, dall’alto di un pulpito/tribuna, parla con arguzia e retorica, imprigionando il pubblico in una gabbia di illusioni, attraverso le sue false promesse. La gente ai piedi del pappagallo ascolta estasiata, ma è cieca (ha gli occhi chiusi): non vede l’illusione e la falsità delle promesse che ascolta. E il pappagallo illude, è mentitore: infatti, dietro esso, si trova una maschera. Ma il pappagallo ha anche un ulteriore significato: non è solo colui che consapevolmente sostiene menzogne, non è solo l’imbonitore professionista. Personifica anche chi ripete idee e concetti non suoi per affabulare le folle: viene “imboccato” da altri, parla per conto di altri, occultando ciò che le sue parole significano davvero. E la folla crede al pappagallo. Questo pappagallo può essere chiunque: un chierico, un politico, ecc.. È colui che mente al popolo. Quanti pappagalli nelle nostre vite? A quanti siamo tristi servitori?

 

 

Le guerre e le rivoluzioni a cui assiste Goya sono tremende. I Disastri della Guerra possono essere considerate delle riflessioni sulla brutalità della guerra e sulle sue efferatezze: nulla di positivo porta la violenza e la guerra. Fa solo emergere l’animalità dell’uomo. E un postulato, forse veritiero: l’uomo, per sua natura, non è buono! Visti i tempi oscuri in cui viviamo, credo che anche questa seria sia estremamente attuale.

Perché mai?

Tre soldati hanno appena impiccato un uomo (probabilmente un militare di schieramento opposto o addirittura un contadino inerme ed indifeso). Nonostante l’impiccagione sia andata a buon fine e il poveretto risulti ormai morto, riportando sul volto i segni di atroci sofferenze, i tre soldati infieriscono ulteriormente tirando l’uomo per le gambe e facendo ulteriormente tendere la corda: si avventano con calci sul corpo esanime dell’uomo. E allora Goya si domanda Perché mai? Perché tanta brutalità gratuita? Perché? Vengono alla mente le vessazioni a cui i prigionieri di Guantanamo furono sottoposti; vengono alla mente le umiliazioni che i civili di tutte le guerre debbono subire; non ultimo, tornano alla mente le sofferenze e le dignità lese che subiscono le centinaia di migranti che arrivano nella nostra cara e vecchia Europa.

 

L’opera incisoria di Goya fa parte di quei lavori che non possono lasciare indifferente chi li osserva, poiché trattasi di opere davvero “classiche” ossia destinate a parlare sempre agli uomini, di ogni epoca e di ogni tempo. Ma questi uomini avranno la forza di leggerle davvero? Noi, tutti noi, avremo la forza di saperle ascoltare? Di saperle guardareosservarevedere?

Per voi, le opere d’arte sono utili? Per voi, a cosa servono?