ETICHETTARE LA LETTERATURA È REATO!

di Nicolò Raimondi

A quanti amano il Romanticismo, il Classicismo, l’Ermetismo, il Decadentismo; a chi apprezza sempre lo Storicismo, l’Espressionismo, il Petrarchismo e qualunque ismo possiate trovare. A tutti costoro è consigliato non proseguire la lettura di questo articolo.

Alcuni giorni fa, stavo chiacchierando con un ragazzo che da un anno ha terminato la maturità e ha ormai iniziato un proprio percorso universitario. Tra una parola e l’altra mi cita Walt Whitman e con mia somma gioia pensiamo un po’ al poeta americano. Ad un tratto mi pone una domanda: «Ma pensando alle varie correnti in Italia, Whitman a cosa corrisponderebbe?», che vale a dire: dove inserire Whitman? Ecco uno dei risultati della scuola occidentale figlia dell’Illuminismo, cioè ragionare per compartimenti stagni. Complimenti! E continuiamo con questi libri di testo che non cessano di classificare e catalogare. “Niente male Pirandello, dove lo sistemiamo?”… come se i grandi autori fossero delle confezioni di pelati da mettere su uno scaffale seguendo un determinato ordine. Si sa da sempre che è impossibile classificare determinati autori, eppure si continua a farlo; non solo, ma si procede sempre con gli stessi ritornelli. È importante il contesto, è fondamentale l’atmosfera, ma inscatolare i testi e i loro autori è da ritenersi un reato. Perché? Perché si giudica e noi non possiamo permetterci di giudicare l’autore. O meglio, non con la presunzione di considerarlo un oggetto; occorre discernere, non giudicare. Un testo va capito, non giudicato. E ancora prima di capire, come riteneva Alfieri, bisogna sentire. «Il primo pregio dell’uomo è il sentire» [W. Binni (a cura di), V. Alfieri, Giornali e lettere scelte, Torino, Einaudi, 1949]. Ma a queste parole molti accademici, universitari e non, sembrano essere sordi. Risultati? Molti. Ad esempio bocciare ad un esame per il semplice e stupidissimo fatto che uno studente non si ricorda il nome di un tizio che il protagonista di un romanzo di Calvino incontra una volta soltanto in un parco di Torino. Oppure scrivere un manuale di Letteratura italiana (G. Langella, P. Frare, P. Gresti, U. Motta, Letteratura.it, Monadori, 2012) con immagini a colori, ricco di approfondimenti, con straordinarie aggiunte di altre discipline e poi nemmeno citare alcuni autori come ad esempio Padre Turoldo (e dire che chi ha preso questa iniziativa è pure cattolico). Che diritto si ha di tralasciare determinati autori in un manuale che vorrebbe illustrare il nostro patrimonio letterario? Certo, non è possibile che tutto sia considerato Letteratura, ma occorre discernimento e non puntare il dito e giudicare. La Letteratura, come l’arte in generale, è libera! Non potrà mai appartenere a degli schemi. Altrimenti si parlerà degli schemi, dei modelli, delle correnti e mai dei testi e dei loro autori. I numerosi incontri letterari universitari ne sono una prova (non tutti per fortuna, ma molti). Ci si trova con un pubblico, se studenti da plagiare è meglio, parenti di qualche poeta morto e qualche giornalista locale, oltre ovviamente alla nobile schiera di colleghi; il tutto per lodare il lavoro critico svolto ed elogiare chi ha compiuto quest’ardua impresa. E il testo? E il poeta morto? Morti ancora di più.

Walt_Whitman_-_George_Collins_Cox

Bisogna smettere di classificare: è molto pericoloso. È la questione della differenza tra Petrarca e il petrarchismo: l’uno è vivo, l’altro morto. Chi scrive seguendo una corrente e si adegua a quel moto letterario non sta scrivendo, sta eseguendo. Sarà un ottimo esecutore, ma non scrittore.

Termino ripetendo un pensiero di John Ruskin che avevo già citato nel mio precedente articolo: «Tutti i libri si possono dividere in due categorie: quelli di “un’ora” e quelli di “sempre”», aggiungendo che allo stesso modo allora classificherei anche critici miopi e taluni professori.

John_Ruskin_1870